Progetto Anemos

Progetto Anemos

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Il Metodo Prompt: cos'è e come funziona

Oggi si sente parlare sempre più spesso di metodo PROMPT in logopedia, ma che cos’è effettivamente la terapia PROMPT e come funziona?

IL METODO PROMPT IN LOGOPEDIA

PROMPT è l’abbreviazione di Prompts For Restructuring Oral Muscolar Phonetic Targets ovvero Prompt per la Riorganizzazione di Target Fonetici Orali Muscolari. Sviluppato in America dalla logopedista Deborah Hayden negli anni ’70, si tratta di un approccio multidimensionale utilizzato nella valutazione e nel trattamento dei disordini dello speech.

La particolarità di questo metodo sono i PROMPT ovvero degli input tattili e cinestesici che il logopedista esegue sugli organi interessati nell’articolazione come la mandibola, la muscolatura labio-facciale e la lingua. L’obiettivo è dare al soggetto informazioni chiare su come muovere gli organi articolatori al fine di produrre correttamente un suono.

Nel tempo, infatti, si è visto che per alcuni soggetti non è sufficiente dare solo informazioni uditive o visive per la produzione verbale perché, nonostante il soggetto comprenda cognitivamente cosa deve fare, non riesce poi ad eseguirlo, ovvero ha una difficoltà di programmazione. È come voler insegnare una coreografia a qualcuno, utilizzando semplicemente informazioni verbali: per alcuni potrebbe essere molto difficile apprendere i passi senza vederli. È per questo che si è sviluppato il PROMPT, per dare la possibilità a tutti di ricevere le giuste informazioni per programmare il movimento.

METODO PROMPT: UN APPROCCIO MULTIDIMENSIONALE

Alla base del modello, c’è l’idea che la produzione verbale motoria sia il risultato di azioni coordinate tra le varie parti del sistema che guidano il soggetto: la comunicazione è un’interazione delle abilità socio emozionali, con gli aspetti cognitivo–linguistici e con l’integrità dell’aspetto fisico–sensoriale. Se anche uno solo di questi domini è alterato, in ritardo o danneggiato, la produzione dello specch può non svilupparsi in maniera normale. Per questo, per utilizzare efficacemente l’approccio PROMPT, occorre una valutazione globale, che prenda in considerazione i diversi domini del bambino, creando così un programma individualizzato, al fine di favorire e riorganizzare la produzione verbale.

METODO PROMPT: A CHI È RIVOLTO

IL PROMPT è un metodo complesso, adatto sia ai bambini che agli adulti che presentano difficoltà nell’articolazione dello speech.

È indirizzato maggiormente ai bambini con disordini motori del linguaggio, come disprassia e disartria, anche quando sono presenti in quadri evolutivi compressi come sordità o disturbo dello spettro autistico.

Può essere applicato anche nei bambini che presentano un ritardo del linguaggio, in cui il logopedista grazie al PROMPT, può guidare le traiettorie articolatorie e inibire i movimenti che non servono per la produzione linguistica.

METODO PROMPT: COME VIENE STRUTTURATA LA TERAPIA

Durante le sedute di logopedica con i PROMPT, si presentano attività ludiche motivanti e ripetitive, che prevedano l’utilizzo di parole funzionali e spendibili in diversi contesti della vita del bambino. Per esempio, se un bambino deve apprendere la parola “mamma”, il logopedista creerà attività motivanti, dove la parola può essere ripetuta più volte e, usando gli input tattili, supporterà il movimento degli organi articolatori per la giusta produzione.

Al fine di permettere una generalizzazione rapida, il genitore o le figure di riferimento sono parte attiva del progetto riabilitativo. Le parole apprese in terapia, devono poi essere riportate nelle routine domestiche o all’interno del gioco quotidiano, affinché la comunicazione verbale sia interattiva e funzionale.

METODO PROMPT: CHI PUÒ METTERE IN ATTO IL METODO

La tecnica PROMPT può essere utilizzata unicamente da logopedisti che hanno effettuato la formazione prevista dal The Prompt Institute, conseguendo il titolo di formazione PROMPT Primo Livello INTRODUCTION TO PROMPT: TECHINIQUE.

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

• Manuale di introduzione alla tecnica del PROMPT, the PROMPT Institute, Santa Fe, New Mexico, USA
www.promptinstitute.com

Misseri Federica
Logopedista

Maria Montessori sosteneva che il bambino è il protagonista della propria educazione; il caregiver si limita ad agire da intermediario con la realtà e a procurargli un campo base. Se il rapporto stabilito gli infonde sicurezza, il bambino andrà esplorando sempre più lontano. Se non si è stretto un vincolo di fiducia con i genitori, il figlio sarà insicuro e non perlustrerà serenamente ciò che lo circonda.

Ma questo significa che per il mio bambino devo semplicemente “esserci”?

Esattamente così. La qualità del tempo che si trascorre con i propri bambini non si misura dal numero di stimoli che gli forniamo, basterà essere presente, stabilire un legame, dargli la pappa, guardarli, parlargli dolcemente, sorridere e accarezzarli.

Come affermava Siegel, il bambino ha bisogno di un ambiente circostante normale e una quantità di stimoli minima. Non occorre tracciare a forza i circuiti neuronali con il gesso sul suo cervellino, ma egli possiede un motore interno che lo porta a scoprire da solo ciò che lo circonda: lo stupore.

Alcune ricerche mettono in relazione le ore passate davanti alla televisione durante l’infanzia con il rischio di incorrere in problemi legati all’attenzione e all’apprendimento: il baccano dello schermo turba l’unico genere di apprendimento esistente per il bambino: quello di scoprire o riscoprire il mondo per conto suo e con i suoi tempi.

Quindi, cosa succede quando si sovrastimola un bambino?

Se non vi è abituato, propenderà a una risposta di difesa, prima di arrivare alla saturazione dei sensi. Ma cosa succede se l’esposizione si protrae a causa dell’eccedenza di beni materiali, dei capricci, delle attività extrascolastiche, della mancanza di sonno, del ritmo di un programma televisivo o del fatto che gli venga richiesto di compiere diverse attività alla volta?

L’essere umano possiede un’incredibile capacità di adattamento all’ambiente circostante. Si adegua a vivere nelle condizioni più varie. In questo caso, dopo il primo impatto, il bambino si abitua a vivere costantemente sovrastimolato.

Prima, un bambino di cinque anni ascoltava la canzone dell’Ape Maia e ne restava incantato. Adesso lo annoia. Prima a sei anni si vedeva E.T. e a dodici I Goonies. Adesso, un bambino di cinque anni, si annoierebbe alla visione di questi film storici.

Cos’è cambiato? Non il bambino, la sua natura non ha subìto alcun mutamento. È l’ambiente in cui si trova che è cambiato e lo sottopone a sollecitazioni tali da impedirgli di apprezzare un film più lento. In passato, ciò che lo circondava da vicino si adattava ai suoi tempi e alle sue necessità. Adesso, è lui a doversi adeguare al ritmo frenetico di una società che produce sempre più stimoli. La televisione, i videogiochi, le attività extrascolastiche, meno ore di sonno ecc.

Cosa fare dunque?

È importante lasciare i bambini liberi di scoprire l’ambiente circostante attraverso il gioco e con i propri tempi; in questo modo esprimerà la propria genialità indipendentemente dal potenziale intellettivo, perché è naturalmente abituato a intraprendere il processo educativo partendo dal proprio sé.

Egli sarà curioso, uno scopritore e sarà in grado di formulare ipotesi e di confermarne la fondatezza attraverso l’osservazione.

È preferibile, dunque, dare ai bambini pochi giochi semplici, piuttosto che apparecchi elettronici super attraenti. Questo perché i videogiochi, che hanno come effetto una stimolazione esterna, lasciano poco spazio alla scoperta e alla creatività, mentre ciò di cui i bambini hanno bisogno è proprio il gioco libero e immaginativo, “creare con poco”.

Quindi, è fondamentale evitare di sovraccaricare i bambini con numerose attività settimanali e giochi elettronici, ma bisogna impegnarsi nel dare loro quanto basta per lasciarli liberi di immaginare e creare.

Perché “la creatività non è altro che un’intelligenza che si diverte”. (A. Einstein)

Bibliografia: Educare allo stupore (C. L’ecuyer)

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Infanzia e multimedialità

Nel 2018 si è stimato che nel 95% delle famiglie, un bambino di età inferiore agli 8 anni possiede uno smartphone.

La Società Italiana di Pediatria ha deciso di mettere nero su bianco una serie di raccomandazioni per evitare i numerosi effetti collaterali di un’esposizione eccessiva a dispositivi multimediali; tra gli effetti collaterali, i più segnalati sono le interferenze sullo sviluppo neurocognitivo, l'apprendimento, il benessere, la vista e l'ascolto, le funzioni metaboliche e cardiologiche.

L’uso massiccio di queste tecnologie può abbassare la tolleranza alla fatica, alla frustrazione ma soprattutto alla noia. Se prima il bambino era abituato a un certo tempo di attesa per ottenere ciò che desiderava, adesso vive in un mondo dove, grazie ai telefoni, si ottengono risorse infinite col minimo sforzo.

Se gli occhi dei bambini sono impegnati da uno schermo non possono dedicarsi al contatto visivo, all’attenzione visiva congiunta e allo sguardo reciproco con i pari o gli adulti di riferimento, creando meno interazioni verbali e non verbali, distraendo dalle interazioni genitore-figlio e dal gioco del bambino.

Mentre un gioco non strutturato contribuisce a creare abilità linguistiche, cognitive e socio-emotive, la concentrazione sul piccolo schermo rende difficile lo sviluppo di sentimenti di empatia e la gestione delle emozioni. Una ricerca del 2010 ha dimostrato un collegamento tra esposizione eccesiva alla televisione e ribasso dei punteggi in matematica e attenzione.

L’uso dei Dispositivi multimediali, può avere ripercussioni anche sul sonno a causa dell’esposizione a luce intensa e contenuti stimolanti, la presenza della TV in camera da letto è collegata a una ridotta qualità del sonno (incubi, terrori notturni, parlare nel sonno) nei bambini tra 1 e 4 anni.

Dal punto di vista più strettamente fisico inoltre, si osservano affaticamento e irritazione oculare a causa della distanza ravvicinata a cui ci costringono i piccoli schermi; mal di testa, dolore a collo e spalle collegati alla postura scorretta oltre a un aumento del peso corporeo e comportamenti alimentari sbagliati.

Da non sottovalutare inoltre, la forte dipendenza che potrebbe seguire a un uso incontrollato di queste tecnologie, creando un bisogno sempre più grande dell’utilizzo dell’oggetto e tensioni e sensazioni di malessere quando questo viene tolto.

Come tutte le cose, però, non va demonizzato l’oggetto in quanto tale perché, utilizzato correttamente, può portare dei benefici e aiutare a sviluppare delle capacità. I bambini che usano dispositivi elettronici si sono rivelati più pronti all’avvio, hanno un campo di conoscenze che può essere ampliato grazie alla facilità di accesso tramite internet e, soprattutto, questi device possono essere usati come ausili per bambini con difficoltà.

I consigli della società italiana di pediatria sono di evitare assolutamente di usare cellulari e tablet almeno fino ai 2 anni e, anche dopo, durante i pasti, almeno un’ora prima di andare a dormire e come “ciuccio emotivo”.

Tra i 2 e i 5 anni si consiglia di non usare dispositivi elettronici oltre un’ora al giorno, che possono diventare due tra i 5 e gli 8 anni.
L’indicazione generale è quella di limitare l’uso a momenti di calma e non usare il cellulare per indurre tranquillità o evitare l’attesa, inoltre sarebbe bene che i bambini usassero solo applicazioni educative che siano adatte per contenuti ed età e che siano state prima testate dal genitore.

Si consiglia inoltre che i bambini condividano i dispositivi degli adulti, non avendone uno di proprietà, per favorire l’interazione e l’apprendimento e rendendo più partecipe possibile la famiglia.

Il consiglio più importante per i genitori, però, è quello di limitare anche loro stessi l’uso di questi dispositivi perché, si sa, i bambini sono imitatori e se hanno un buon modello sarà più facile per tutti. Se vuoi saperne di più sugli effetti positivi e negativi che i dispositivi multimediali possono avere sul tuo bambino, puoi chiedere a un professionista dell’età evolutiva che potrà consigliarti anche attività alternative adeguate all’età.

“Media devices in pre-school children: the recommendations of the Italian pediatric society”
Bozzola et al. Italian Journal of Pediatrics (2018)

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Disortografia alle medie

Un insegnante ci ha scritto pochi giorni fa sul sito con questa domanda: “Come e quanto devo intervenire nella correzione di errori di grammatica in un bambino di prima media con Dsa?"
Allora innanzitutto ci servirebbe sapere quando il bambino è stato identificato e poi certificato. Diciamo che, con l’ingresso alle medie ci si potrebbe trovare in due situazioni:

  1. Una situazione in cui il bambino è stato identificato e certificato tempestivamente, facciamo fine seconda elementare in terza elementare arriva la diagnosi , PDP fatto e condiviso tra i docenti e i genitori , ha seguito un percorso di riabilitazione logopedica o psicologica e arriva alle medie con una buona padronanza del computer. Ovviamente questo bambino ha una famiglia che ha collaborato con la scuola e quindi il passaggio dalle elementari alle medie avviene in maniera serena.
  2. Un’altra situazione in cui il ragazzo è stato diagnosticato tardivamente, diciamo in 4°/5° elementare, la certificazione deve ancora arrivare, ovviamente il PDP mai fatto, il computer manco a parlarne e la famiglia la lasciamo come incognita. Per questo bambino il passaggio alle medie sarà un vero e proprio dramma.

Ora, lungi da me dal voler essere pessimista ma, semplicemente realista, scommetto che se fossimo faccia a faccia a parlare di questo, avremmo tutti la stessa espressione nel dire: LA SECONDA!!!

Non sempre va cosi ma tutti sappiamo quanto il problema più grande per questi bambini sia la diagnosi tardiva; per responsabilità di chi non ci interessa ma sta di fatto che molto spesso arrivano alle medie con una totale sfiducia nell’adulto e verso se stessi, autostima sotto i piedi, con gli ormoni in subbuglio e i primi fastidiosissimi brufoli che cominciano a popolare il viso… .

Partiamo quindi dalla seconda ipotesi provando a considerarla come la situazione in cui la nostra insegnante si trova.

Parlare di disortografia vuol dire parlare di tutto ma anche di niente e sappiamo come a volte sulla diagnosi non venga specificato nulla se non il codice. Quindi di fatto alle insegnanti non viene dato nessun suggerimento pratico.

Tanto per iniziare consiglio di fare uno screening collettivo alla classe per due ragioni: non isolare il ragazzo e valutare anche gli altri studenti, con uno strumento standardizzato, che male non gli fa! Per questo si può utilizzare per esempio il Dettato di brani estrapolato dalla “Batteria per la Valutazione della Scrittura e della Competenza ortografica” (Tressoldi e Cornoldi) e il dettato di parole e non parole estrapolato dalla DDE “Batteria per la dislessia e disortografia in età evolutiva” (Job, Tressoldi e Cornoldi).

Con questo dettato possiamo ottenere due parametri : la quantità degli errori e confrontarla con una media appunto standardizzata, ma soprattutto la qualità degli errori.

Ed è soprattutto la qualità degli errori ( errori fonologici,non fonologici o fonetici), che a noi interessa. Sapere che tipo di errori il ragazzo commette ci permette di personalizzare l’intervento in maniera mirata.

Ricordiamo che la disortografia, come gli altri Disturbi Specifici dell’Apprendimento , non subisce il “fascino” dell’esercizio ripetuto ; vale a dire se sono disgrafico anche se scrivo 100 volte la stessa parola non divento più bravo!

Tratterò la disortografia come associata alla disgrafia perché a volte i due disturbi si presentano insieme.

Consiglierei a scuola di lavorare con Software specifici per il recupero della componente ortografica ( e qui ormai abbiamo l’imbarazzo della scelta); nel frattempo possiamo proporre alla famiglia di cominciare a far esercitare almeno un’ora al giorno il ragazzo a scrivere al computer.

E’ chiaro che se il ragazzo non ha fatto mai riabilitazione non possiamo aspettarci dei miracoli ma possiamo intanto comunicargli che noi abbiamo capito che un problema c’è e che insieme vogliamo provare a migliorare. Sarebbe magari più funzionale farlo lavorare a piccoli gruppi sia per preservare l’area emotiva che per aumentare il grado di motivazione.

I ragazzi, soprattutto i più grandi, hanno bisogno di conoscere i propri punti deboli per riuscire a intervenire con la strategia più efficace e i lavori a gruppi, così come una didattica metacognitiva, sono un validissimo aiuto.

Passiamo agli strumenti compensativi; per la disortografia e disgrafia viene proposto il computer; tanto è che nei PDP viene quasi sempre inserito.

Vorrei però fare con voi una riflessione.

Per compensare bisognerebbe che i ragazzi lo sapessero usare alla perfezione, fossero cioè rapidi nello scrivere al computer cosi come lo sono i compagni con la penna.

Quanti ragazzi lo sanno fare? Pochissimi.

Questo mi fa pensare al concetto di “Competenze Compensative”:
Le competenze disciplinari rappresentano l’insieme integrato di conoscenze, abilità e atteggiamenti che, sorretto da motivazioni adeguate, consente via via di compiere, in un contesto di apprendimento, da soli o con altri, nuove esperienze conoscitive, relative ad un determinato campo di sapere, dotate di senso,per raggiungere scopi diversi e di averne consapevolezza critica”. (Amber 2004)

Sappiamo quanto soprattutto a questa età ci sia un forte bisogno di appartenenza al “gruppo”, e un conto è se si riesce ad usare il computer velocemente che, in quel caso diventa un alleato e ci da sicurezza ; al contrario se non sono esperto il computer diventa un nemico , un marcatore della differenza che c’è tra me e gli altri.

Quindi prima di introdurre il computer assicuriamoci che il ragazzo sia in grado di padroneggiarlo autonomamente e con il consenso del diretto interessato, informiamo anche il resto della classe per evitare chiacchiericci e cincischii durante le lezioni.

Ecco perché parallelamente al lavoro a scuola bisogna coinvolgere la famiglia e il ragazzo a lavorare anche e, soprattutto, a casa. Anche per questo tipo di esercizio ci sono dei software molto utili che aiutano il ragazzo ad apprendere ad usare il computer in completa autonomia.

Mi rendo perfettamente conto che alle Medie è tutto più complicato; abbiamo parlato finora della disortografia e/o disgrafia di questo ragazzo ma sappiamo bene che dietro c’è tutto un mondo fatto di adolescenza, di conflitti con il proprio corpo, di incomprensioni con i genitori e tanto altro che voi conoscete meglio di me.

Al di la di tutto (del PDP, delle circolari, delle note ministeriali, delle definizioni, dei mille corsi fatti sui DSA) mi viene da pensare a una cosa sola.

Che cosa vuol dire scrivere? Qual è la funzione pragmatica della scrittura?

Nella sua accezione Neuromotoria scrivere è:
Percezione, organizzazione spaziale, organizzazione temporale, organizzazione prassica, integrazione spazio temporale, integrazione delle lateralità, conoscenza e rappresentazione dello schema corporeo, coordinazione motoria, dominanza laterale, memoria e attenzione.

L’atto esecutivo dello scrivere implica tutte queste cose, noi ovviamente non ce ne accorgiamo perché abbiamo raggiunto “padronanza comportamentale” ma ricordiamocelo ogni qualvolta abbiamo di fronte un bambino disgrafico, disortografico e disprattico.

Non diamo mai nulla per scontato perché quello che a noi sembra la cosa più facile al mondo per loro non lo è.

Ma oltre a questo, scrivere ha anche la sua funzione pragmatica...Comunicare.

Scriviamo per svariate ragioni, ma non importa se scriviamo a qualcuno o a noi stessi, noi scriviamo per comunicare qualcosa. Qui entra in gioco la pianificazione del testo, il pensiero ideativo, la capacità di sintesi, di revisione e tante altre cose che non devo certo dire a degli insegnanti!!

Le linee guida per i Disturbi Specifici d’Apprendimento ci dicono che nel valutare il ragazzo dobbiamo tener conto del contenuto e non della forma. Quindi, in teoria, la risposta sarebbe semplice: non tenete conto degli errori ma del contenuto.

L’obiezione che molti fanno è se è possibile accettare un compito pieno zeppo di errori.

No, molti insegnanti non ci riescono. E in realtà neanche per il ragazzo è accettabile vedere il proprio compito pieno zeppo di segni rossi. Più sottolineiamo gli errori grammaticali e meno lui scriverà.

L’obiettivo per gli insegnanti soprattutto delle medie e delle superiori è aiutare i ragazzi a fare emergere la loro creatività ad esprimere sentimenti e pensieri, insegnare loro ad avere un atteggiamento attivo verso quello che studiano.

Quindi il punto è un altro: credo che prima di pensare a come valutare il ragazzo, noi dobbiamo pensare a come renderlo autonomo, dobbiamo trovare insieme a lui le strategie per superare le sue difficoltà, dobbiamo trovare il modo di compensare per raggiungere gli stessi obiettivi della classe.

Per capirci meglio proviamo adesso a pensare che questo ragazzo rispecchiasse la prima situazione, la situazione idilliaca per intenderci.

Se lui facesse il tema o un dettato con il computer, noi ci saremmo posti il problema di come valutare gli errori? No, ci avrebbe pensato il correttore ortografico a segnalare al ragazzo che ci sono delle imprecisioni e lui avrebbe provveduto a correggersi ( che poi non è detto che comunque il ragazzo ci sarebbe riuscito).

Immagino che qualcuno di noi sta pensando che permettendo questo si aiuti troppo l’alunno “ Si vabbè cosi non vale, cosi sono tutti capaci” (E’ una frase che spesso ho sentito dire dentro e fuori la scuola).

Ed è verissimo, vi confesso che ai tempi dell’università questo pensiero ha attraversato anche la mia testa, poi però a uno dei tanti convegni che si tengono sui Disturbi Specifici dell’ Apprendimento, ho sentito cosa diceva Luca Grandi ( responsabile del centro ricerca Anastasis ) a proposito degli strumenti compensativi.

Al di la del contesto scolastico tutti noi utilizziamo strumenti compensativi; il passeggino, la lavatrice, il navigatore, la macchina, le scarpe, gli occhiali sono tutti strumenti compensativi.

Lo strumento compensativo è appunto uno strumento che ci aiuta ad aumentare e rendere più facilmente esprimibile un nostro potenziale. Non esistono quindi strumenti compensativi che aiutano troppo, uno strumento compensativo che è efficace è semplicemente efficace. Pensiamo alla lavatrice… Non è che a metà del lavaggio tiriamo fuori i panni perché pensiamo che altrimenti ci aiuterebbe troppo…

Giusto?

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16 parole

Le 16 parole di Stella…

Oggi voglio condividere con voi, in particolare con le insegnanti della scuola primaria, uno strumento che potrà esservi utile in questo periodo scolastico.
Lo strumento di cui parliamo oggi è il Test delle 16 parole del professor Giacomo Stella.
Il test, rivolto principalmente alle insegnanti della 1 e 2 elementare, consente di verificare la prima acquisizione della fase alfabetica e l’inizio di quella ortografica dal punto di vista fonologico quindi trascurando tutte le regole ortografiche (punteggiatura, doppie, accenti ecc…).
Lo strumento vuole identificare le difficoltà di elaborazione fonologica della parola, indispensabile per la trasformazione della parola orale in codice scritto.

Prima di descrivere il test ricordiamoci che:

  • Il test rappresenta uno Screening di primo livello : rapido economico e semplice
  • E’ un test predittivo che misura un fattore di rischio: attenzione però non si pone come obiettivo di fare diagnosi ma si limita, in un secondo momento, ad inviare alle strutture di competenze territoriali.

Questo vale sia se lo screening fosse fatto dalle insegnanti ma anche se venisse fatto da personale tecnico specifico (logopedista, psicologa, neuro psicomotricista ecc..) perché ripetiamoci pure che l’unica figura in grado di fare diagnosi è il Neuropsichiatra Infantile.

Allora il test è composto da un dettato di 16 parole che hanno queste caratteristiche:

  1. Difficoltà fonologica crescente
  2. Bassa frequenza d’uso
  3. Buon grado d’immaginabilità
  4. Alto grado di corrispondenza grafema fonema

Questa prova viene fatta in un due momenti: a fine gennaio e a fine maggio.

DETTATO FINE GENNAIO
BISILLABE PIANE: Pera, Fumo, Gola, Biro
BISILLABE COMPLESSE: Barca, Fonte, Strada, Grande
TRISILLABE PIANE: Carota, Divano, Balena, Melone
TRISILLABE COMPLESSE: Scatola, Candela, Mandorla, Fantasma

DETTATO FINE MAGGIO
BISILLABE PIANE: Tela, Peso, Lino, Fumo
BISILLABE COMPLESSE: Festa, Brano, Lungo, Corda
TRISILLABE PIANE: Pavone, Medusa, Ferita, Numeri
TRISILLABE COMPLESSE: Patente, Spavento, Vacanza, Persiana

E’ un test non solo di facile somministrazione ma anche molto ecologico; può essere infatti svolto tranquillamente nell’aula di riferimento dei bambini che potranno utilizzare i fogli che abitualmente utilizzano, le insegnanti devono dettare senza sillabare e gli studenti possono utilizzare il carattere che preferiscono.
Le parole devono essere scritte una sotto l’altra e durante la dettatura dobbiamo aspettare tra una parola e l’altra 7 secondi alla prima somministrazione (fine gennaio) e 5 secondi nella seconda ( fine maggio),

Procediamo ora alla valutazione qualitativa e quantitativa della prova:

  • 1 punto per ogni parola scritta bene
  • 0 punti per parole che contengono uno o più errori
  • Solo in prima elementare non vengono considerati errori di doppie e la scrittura speculare, dalla seconda si conteggiano anche le doppie.
  • Se in una parola ci sono due o più errori si conteggiano tutti ( es: se scrive PTE al posto di RETE troveremo come errori lo scambio di grafema e omissione di grafema quindi calcoleremo 2 errori).
  • Limite di parole sbagliate che possiamo considerare a rischio è di 8 per il dettato di fine gennaio e 4 per il dettato di fine maggio.

Come dicevamo prima è uno screening di primo livello ma può fornirci tante indicazioni, soprattutto l’analisi qualitativa degli errori ci da una chiara indicazione in quale fase il bambino si trova e può indirizzarci su un rinforzo mirato per quel bambino.

Ora condivido con voi il test effettuato ad una bimba di prima elementare a cui ho sottoposto le parole di fine gennaio.

Ecco i risultati:
Bisillabe piane : PERA = PRA; FUMO = FMO; GOLA = CLA; BIRO = BIRA

Già in questa prima parte troviamo i seguenti errori: l’omissione di grafema e scambio di grafema. Ci possiamo accorgere già da qui che la conversione fonema/grafema è debole quindi andiamo avanti nella somministrazione anche se ci aspettiamo che nelle prove successive sarà sempre peggio.

Bisillabe complesse : BARCA = BACA; FONTE = VTE; STRADA = STAR; GRANDE = GANE Trisillabe piane: CAROTA = CAPTO; DIVANO = PIANO; BALENA = PLONA; MELONE = LONE Trisillabe complesse: FANTASMA = FSAMA; SCATOLA = SCTLA; CANDELA = CNDLA; MANDORLA = MALO

L’analisi qualitativa ci dice che la bambina non ha ancora automatizzato del tutto il codice alfabetico e che il processo di conversione fonema/grafema è ancora debole.
Oltre allo scambio e all’omissione dei grafemi l’analisi qualitativa degli errori che la bambina commette ci potrebbe far “ipotizzare” due cose:

  • Difficoltà nella discriminazione uditiva del tratto sordo/sonoro (GOLA= CLA/ FONTE = VTE : G/C e F/V)
  • Difficoltà visuo-percettive (DIVANO = PIANO/ BALENA = DLONA : D/P e B/P)

Non tanto la quantità quanto invece la valutazione qualitativa ci permetterà di avere chiaro l’obiettivo del rinforzo e il punto di partenza.

Ora vorrei fare una riflessione insieme a voi…

Quanto l’introduzione dei 3 caratteri simultaneamente può incidere (negativamente) sullo sviluppo dell’abilità della letto-scrittura di questa bambina?

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